All’insegna della convinzione che i luoghi costituiscano patrimoni di natura e memoria dei quali occorre prendersi cura per governarne il divenire, si inaugura il 24 ottobre, nel nuovo spazio espositivo dell’antica Chiesa di Santa Maria Nova, restaurato a Treviso su progetto di Tobia Scarpa, la mostra fotografico-documentaria Cappadocia. Il paesaggio nel grembo della roccia (fino al 10 gennaio 2021).
E così, l’assunto pur sempre originale e dirompente nella sua essenzialità, che si possa “premiare” un luogo particolarmente denso di valori – di natura, memoria, invenzione – porta quest’anno la trentunesima edizione del Premio internazionale Carlo Scarpa per il giardino, promosso dalla Fondazione Benetton studi e ricerche, a illustrare le specificità della vicenda, questa volta, della Valle delle Rose e della Valle Rossa in Cappadocia. Due valli collegate da ripidi sentieri e scale ricavate nel terreno che corrono in forma quasi parallela profondamente incise nelle rocce vulcaniche dell’altopiano al centro della penisola anatolica.
Tra abbandoni, diffondersi di nuove forme insediative e disinvolte reinterpretazioni delle tradizioni a uso del turismo di massa, questo paesaggio delle valli, disegnato dal vento e dall’acqua, da terrazzamenti e ritagli di campi coltivati nonché dalle architetture scavate nell’ombra degli insediamenti rupestri, con un incredibile patrimonio pittorico di impronta bizantina, da qualche tempo in fase di recupero da parte della missione di ricerca dell’Università della Tuscia coordinata da Maria Andaloro, è il segno di un’antica civiltà dell’abitare da considerarsi con lo sguardo attento di un’attenzione costante di ricerca, nonché con la preoccupazione del governo del presente e dei suoi sviluppi a venire.
A restituire gli esiti di una ricerca sul terreno (documentati anche in volume), ventidue grandi pannelli di oltre 3 metri per 2, molti dei quali passanti, ospitano fotografie di grande formato (quasi tutte di Marco Zanin/Fabrica, Gaetano Alfano e Thilo Folkerts), testi e documenti, completati da un film documentario che ritesse le voci di protagonisti e testimoni, a contrappunto con la proiezione del film Medea di Pier Paolo Pasolini, in parte ambientato proprio in questi luoghi.
Nelle intenzioni di Patrizia Boschiero, curatrice con Luigi Latini dell’esposizione, è con il passo lento di una sorta di “eremitaggio laico”, che si vuole evocare, in attraversamento, “la profonda bellezza di un luogo dove la potenza della roccia – di una terra vulcanica aspra e in perenne trasformazione – si interseca con la dolcezza e il respiro del mondo vegetale e, inestricabilmente, con la straordinaria ricchezza di pitture millenarie nascoste nelle architetture in negativo degli spazi del sacro, alle quali fanno da contraltare gli occhi e le decorazioni di centinaia di piccionaie – segni antichi e vivi di un mondo rurale che si affaccia dall’alto delle pareti verticali delle valli, in relazione simbolica e reale con i piccoli orti-giardini che tuttora costellano, a tratti, il fondovalle”.
Andrea Di Salvo, Il Manifesto, giovedì 22 ottobre 2020, Culture, p. 11