Rivisitando, oltre la consueta antinomia, i termini della presunta separazione tra città e campagna, e indagando invece le diverse fisionomie territoriali ed esistenziali che articolano piuttosto questa relazione, da geografo attento ad attitudini e percezioni di chi le abita Francesco Vallerani analizza nel suo I piaceri della villa. Vivere e raccontare la campagna tra abbandoni e ritorni l’evoluzione dell’idea di rurale. Storicamente, e poi fin nei più recenti fenomeni, appunto di abbandoni e ritorni (Le Monnier, pp. 262, € 19,00). Perché anche l’analisi territoriale di queste ultime dinamiche non può prescindere dalla comprensione del lungo e complesso processo di idealizzazione della campagna e quindi del peso dei condizionamenti culturali di questa eredità, nelle molte forme realizzate della ruralità ibrida della città diffusa, come nell’evoluzione dello specifico immaginario culturale del neo-ruralismo.
Vallerani segue così il modificarsi della geografia di quei piaceri della villa cui il titolo del volume rinvia, ispirandosi al cinquecentesco trattato di agricoltura di Agostino Gallo, per seguire come si ritroveranno poi diversamente declinati, fino all’oggi.
Dalle celebrazioni del primato etico della campagna, con Alvise Cornaro, alla ricognizione delle sue presenze nella pittura veneta, dalla fine del 400 con Bellini e Giorgione, poi con una più diretta lettura della realtà con Jacopo Bassano, fino alla palladiana innovazione della villa rurale.
Dall’arcadia rinascimentale alle sensibilità del romanticismo, alle retoriche celebrative del mondo contadino del periodo fascista, fino al diffondersi anche tra le classi medio basse di un idilliaco immaginario campestre, con l’aumento del tempo libero e lo sviluppo delle pratiche turistiche, e delle prime forme di consapevolezza ambientalista (spesso per presa d’atto di dissesti), attitudine che ancora stenta a farsi prassi territoriale.
Rurale come naturalità, come “bel paesaggio”, veicolato anche dalla diffusione di cartoline postali e guide, comepatrimonio da godere. Il tutto sempre in dialettica serrata con gli esiti pervasivi della rivoluzione modernista, dalla meccanizzazione del lavoro allo spopolamento e alla dismissione dei territori, dall’agribusiness alle urbanizzazioni delle campagne con la replica di modelli urbani e conseguente ristrutturazione delle geografie del vivere sociale, in un oscillare di abbandoni e controesodi.
Fin nell’articolazione del volume in una sezione Rappresentazioni e una seconda Vivere e raccontare, emerge la lezione di metodo di una geografia umanistica che propone di integrare oggettività geografiche e territoriali con la dimensione soggettiva. Così le implicazioni affettive delle percezioni ambientali disegnano geografie emozionali, mentre perlustrando nello spazio del vissuto la relazione tra paesaggio e memoria, tra microcosmi e microstorie, si disvela la “personalità” ai luoghi.
In queste aree di transizione geografiche e mentali, di percezioni e rappresentazioni, trovare asilo nel paesaggio è l’aspirazione condivisa di soggetti diversi. Oltre gli scenari pittoreschi, del trasfigurare in senso idilliaco e anti urbano una realtà contadina edulcorata, si rintracciano, spesso anche in relazione al prestigio culturale e alla qualità della locale tradizione insediativa, potenzialità e indicazioni per riequilibrare in quei paesaggi la crisi funzionale: paradigmi operativi in termini di agricolture alternative, recupero patrimoniale, manutenzione ambientale. Ma anche di qualità della vita e amenità, attività per il tempo libero, autoformazione, turismo culturale, residenzialità agrituristica.
Forme di resistenze al degrado e all’abbandono, di partecipazione collettiva, che a partire dalla vocazione rigenerante della qualità ambientale contemperano vivere sociale, salute, sanità ambientale, ricerca di identità, rinnovo esistenziale.
Francesco Vallerani, I piaceri della villa. Vivere e raccontare la campagna tra abbandoni e ritorni, Le Monnier, pp. 262, € 19,00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XII, 14, Supplemento de Il Manifesto del 3 aprile 2022