Sfrondando l’impalcatura di un’editoria di settore sempre più frastagliata, rileva come al tradizionale genere del manuale tecnico si affianchi spesso la forma racconto di esperienze esistenziali giardiniere. Quest’ultima consiste nel ripercorrere la formazione – propria o del proprio giardino – distillandone riflessioni di sintesi: che ciò avvenga nella misura lineare del ciclo delle stagioni o per estrapolazioni tematiche fulminanti. In questo scenario, un dubbio si poneva su dove andasse a collocarsi il libro di Umberto Pasti (Giardini e no. Manuale di sopravvivenza botanica. Disegni di Pierre Le-Tan, pp. 148, Bompiani RCS, 2010), autore di un giardino nei pressi di Tangeri dedicato a piante autoctone del Marocco, molte a rischio di estinzione. Ma l’impegnativo richiamo del titolo e la precisazione Manuale di sopravvivenza botanica non mantengono la promessa di un uso seppur paradossale dell’impianto. Nessuna trattazione organica; non apparati o indici; disegni intesi esornativi e così anche le suggestioni del conclusivo paragrafo dedicato a Un breve elenco utile di libri quadri oggetti. Malgrado la scelta di interloquire con il lettore, sfugge quale lettore l’autore abbia in mente. Partendo dall’assunto che un “giardino somiglia a colui che lo ha ideato”, non parla di giardini o non giardini), ma propone una tassonomia di non giardinieri: monomaniaci collezionisti di piante, signore conformisticamente eccentriche, miliardari obbligati a possedere senza passione un giardino alla moda … e prosegue almanaccando di “legnosi asceti omosessuali, esteti putibondi e giardiniere-suorine”, scegliendo tipologie affatto particolari tra quelle a lui più note. Inseguendo lo scandalo a tutti i costi, Pasti dipinge un giardinaggio appannaggio delle cattive borghesie da salotto o del ridotto dei poveri – anche di spirito – ma belli, che sostiene di preferire. Certo, risalendo faticosamente questa costruzione ex contra, si incappa in vari e eventuali nodi problematici della contemporanea cultura del giardino. Che si tratti del verde pubblico chissà perché così ben tenuto nel resto d’Europa, del diffondersi dei giardinetti delle rotatorie, del profilo del professionista dei giardini – evocato con efficaci tratti caricaturali, trascurando i nostri ritardi nella definizione di efficaci percorsi formativi. Temi proposti enfaticamente al vasto pubblico secondo il modello ambiduo del “tutt’erba un fascio” e dell’estremismo a corrente alternata: “compiere un eccidio di alberi non è crimine meno efferato di falcidiare con un mitra dei bambini all’uscita da scuola. Gli uni e gli altri sono altrettanto indifesi – se sei un giardiniere, anche tu la penserai così”. Penserai ? Peccato che Pasti rinunci a praticare la via della trasmissione della sua esperienza giardiniera diretta. Quella che lo ha portato a realizzare negli ultimi anni il suo giardino in Marocco. Di questo non parla, mentre racconta la denuncia della distruzione della locale duna atlantica operata per far spazio alla globalizzazione che spiana il tessuto di spazi, tradizioni e modi di abitare, in nome dello sviluppo dei modelli occidentali. E questi sono i suoi meriti. Peccato per un operazione editorial mediatica (interviste in TV da Fazio, recensioni più o meno estatiche) che ricorda da vicino il modus operandi con cui viene ritratta l’attitudine del vituperato professionista dei giardini: “poche idee, una magari… che deve essere facilmente leggibile, veicolare un messaggio forte, stupire a tutti i costi”.
Umberto Pasti, Giardini e no. Manuale di sopravvivenza botanica. Disegni di Pierre Le-Tan, pp. 148, Bompiani RCS, 2010 recensito da Andrea Di Salvo su Alias 26 – Supplemento de Il Manifesto 26 giugno 2010