Tra gli antidoti che ci son dati di fronte a una globalizzazione che procede omologando e per converso frammentando e sradicando singolarità e territori e che nella predominante dimensione produttivo consumistica, ci vede assecondare lo status quo, relegati nel ruolo di consumatori, osservatori passivi, c’è la consapevolezza del rilievo operativo del paesaggio, sistema vivente di relazioni sempre in divenire tra uomo ed elementi naturali, strumento di lettura dell’insieme, occasione aggregante, opportunità del convergere di pensiero e azione, di costruzione sociale che mai può essere neutrale.
Una consapevolezza non scontata, anzi tutta da enucleare e alimentare come argomenta Eugenio Pandolfini, nel suo Il paesaggio nascosto. Quale comunicazione nei luoghi della complessità, Olschki, pp. 291, € 22.
Qui, a fronte della messa in discussione della esclusiva centralità dell’uomo nella relazione natura cultura, si procede a un’articolata rilettura delle riflessioni sui temi del paesaggio, informata anche di una serie di ulteriori, convergenti saperi e approcci disciplinari, dalla sociologia all’etica, all’ecologia, all’economia.
Vengono così criticamente ripercorse le funzioni del giardino – dall’artificio che da sempre lo pervade all’artificializzazione della natura aumentata (i Supertrees di Singapore), fino al suo riorientamento in un’ottica sistemica, sintetizzata nel concetto di infrastruttura verde, con valenze di ecologia umanista ispirate dal pensiero del giardino inteso in senso planetario di Gilles Clément –, come pure vengono analizzati i temi della vocazione dei luoghi, dei paesaggi interiori, di quelli della crisi, nonché delle criticità di una rinnovata lettura estetica, “arcadica”, anche dei sempre meno funzionali paesaggi agrari, con relative nuove colonizzazioni.
Per proporre, di contro alla diffusa mancanza di strumenti analitici – talvolta indotta – e comunque alla disabitudine nell’osservazione e nella lettura del paesaggio, un’attenzione pedagogica, un’alfabetizzazione che sia presupposto di una consapevole, innovativa scrittura di significati inediti: a partire dal concetto di paesaggio nascosto, perché inatteso per scarsa cultura del progetto, inespresso nelle sue potenzialità, oppure inaccessibile per eccesso di quella tutela che tende alla musealizzazione, o ancora occultato per logiche di potere, nel contrasto tra interessi, privilegi, rendite di posizione.
Perché, se come si sostiene, secondo il paradigma della comunicazione generativa cui nel volume ci si ispira, il paesaggio è comunicazione, quel che si prospetta è una comune-azione, una scrittura che, in una relazione trasformativa e nell’ottica di un disegno condiviso tra soggetti diversi, intesa al benessere, parta dalla responsabilità di una scelta.
Per operare, dal punto di vista della cultura del progetto di paesaggio e come atto di cittadinanza.
Eugenio Pandolfini, Il paesaggio nascosto. Quale comunicazione nei luoghi della complessità, Olschki, pp. 291, € 22., recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica X, 7, Supplemento de Il Manifesto del 16 febbraio 2020