Piante coinquiline nel nuovo ecosistema urbano

Presenze permanenti della nostra vita domestica e lavorativa, le piante che teniamo in casa con noi riproducono in piccolo un frammento di natura, a surrogare precedenti relazioni pressoché perdute con ambiente e biodiversità sempre più lontani soprattutto per la specie umana, ormai prevalentemente concentrata in contesti urbani (al 55%) e ridotta a vivere (per l’80% del suo tempo) in luoghi chiusi.

E se in passato la flora da interno si diversificava in base al gusto delle culture di cui era espressione, è oramai diventata sempre più cosmopolita. Fenomeno globale, cresciuto, anche tra i giovani, con l’aumento del tempo libero e del benessere, la diversa disposizione e illuminazione delle abitazioni, la consapevolezza degli effetti benefici derivati.

Ripercorrendone la vicenda nella sua Storia botanica delle nostre case, come recita il sottotitolo del volume per il Saggiatore di Mike Maunder, Piante domestiche, si evidenzia tuttavia come oggi il ruolo ornamentale delle piante da interno si stia ampliando(pp. 253, € 24).

Nel nuovo ecosistema urbano, il più giovane del pianeta, si va comunque stringendo in una nuova intimità coevolutiva il rapporto mutualistico tra esseri umani e piante d’interno. Che, ospiti di un’ampia varietà di intimi coabitanti, hanno anche la capacità di influenzare il microbioma domestico aumentandone la diversità   e assumono ancor più un ruolo di agenti attivi nell’ecologia dei nostri spazi vitali al chiuso. Habitat in evoluzione dove emergono nuovi processi ecologici con organismi che volontariamente vi introduciamo – animali domestici, piante, appunto, prodotti vivi fermentati – e altri con cui conviviamo, come le centinaia o migliaia di specie tra cui insetti, piante, funghi, batteri.

Lucian Freud, Interior with Plant, 1967-8, coll. privata

Indagando la storia botanica del bioma umano, in un susseguirsi per fasi cicliche di passioni e abbandoni, mode e predilezioni fino al fanatismo della mania vittoriana per le felci o pteridomania, Maunder ricorda come, dopo i primi esempi d’epoca medievale di coltivazione di piante in ambienti chiusi (dianthus caryophillus), è con i grandi viaggi di esplorazione, e assieme l’effetto straordinario delle prime piante tropicali esibite nella Londra elisabettiana come esperienza mondana, che si afferma, con l’inizio del 600, una certa varietà di piante da interni: decorazioni “nei giardini entro le case” descritti da Hugh Platt nel suo Floraes Paradise. Mentre l’impiego del termine “esotico” si fa risalire all’erborista inglese John Gerard che lo utilizza nel 1597.

Una coevoluzione, quella  tra piante tropicali da interno (arrivate tuttavia dai nuovi mondi spesso senza istruzioni su come coltivarle e moltiplicarle) e vivaisti, cercatori professionisti spesso in feroce competizione, che – assieme all’affermarsi di pubblicazioni dedicate al giardinaggio, riviste, serre, verande, giardini d’inverno intesi come stanze, parte integrante della casa, ma anche terrari e teche di vetro, cornici per accogliere micromondi vegetali –, vedrà affermarsi nell’800 il gusto e la fantasia di nuove tecniche d’ibridazione.

Incroci e sperimentazioni che nel caso delle piante d’appartamento – diversamente da quelle alimentari concentrate su un numero ridotto di specie – ne coinvolgono invece una grande schiera. Per quanto, a lungo, tra dilemmi morali nel timore di interferenze con le leggi della natura (e con la religione).

Sperimentazioni alla ricerca di nuove performance creative viventi. A cavallo tra arte, tecnologia, ricerca scientifica, etica e commercio. Fino a farne una ininterrotta impresa commerciale che dall’Europa dell’800 si estende agli Stati Uniti, specialmente di Florida e California e, oggi soprattutto in Asia (Thailandia Cina Corea e Giappone). Con i relativi rischi ecologici connessi a un modello d’impresa a lungo contraddistinto da un approccio predatorio, con riduzione degli habitat e scarsa sensibilità rispetto al tema della salvaguardia della diversità, nonché da significativi costi in termini di emissioni.

In quest’intima relazione botanica che ci vede sceglierle come coinquiline, le piante da interno, oltre ad arricchire le nostre vite sul piano dell’estetica e delle emozioni, stanno anche diventando parte integrante di un inedito metabolismo della vita urbana contemporanea

Eugenio Ampudia, Concert for the Biocene, Teatro dell’opera di Barcellona, 2020, eseguito per un pubblico di sole 1292 piante

Componenti della famiglia multispecie di cui siamo parte, queste piante non son più singoli esemplari, ma veri e propri paesaggi, parte e innesco del tessuto urbano anche attraverso muri verdi o giardini verticali, infrastrutture per il nostro benessere, capaci di migliorare le condizioni di vita del bioma.

Incorporati nella progettazione, impianti vegetali estesi finiscono così, tra tecnologia e creatività, ingegneria, floricoltura, arte e scienza, per creare nuovi habitat urbani, includendovi interi sistemi viventi. Coì che gli edifici risultano spazi interni alla vegetazione e non più il contrario. Mentre il concetto di pianta si amplia includendo muschi, funghi, alghe.

https://www.ilsaggiatore.com/libro/piante-domesticheMike Maunder, Piante domestiche, il Saggiatore, pp. 253, € 24, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XIV, 34 Supplemento de Il Manifesto del 1 settembre 2024