Discrete e pressoché onnipresenti, per quanto diverse per fasi e culture, le tracce dei nostri rapporti con il mondo vegetale si possono inseguire su vari fronti.
Che siano le raffigurazioni degli iris sulle pareti del palazzo di Cnosso o dell’oleandro su quelle delle ville pompeiane, il nome della centaura – o fiordaliso – da quello del centauro Chirone che con questa pianta si sarebbe curato, o del classico narciso, citato già da Omero, Virgilio e Ovidio, che dal Mediterraneo, percorrendo al contrario la Via della seta, arriva a figurare nei capodanni cinesi, propagandosi naturalmente lungo il percorso. O, come pure, che si tratti del diffondersi in Europa della Malvarosa, o Alcea rosea, riportata probabilmente dai crociati, o dell’Anemone, fiore spettacolare, che i pellegrini, ritenendolo miracoloso, sparpagliano al ritorno in patria – mentre gli ottomani lo selezionano coltivandolo nei loro giardini.
Fiori mediatori, chiamati, come il gelsomino, a inghirlandare nell’India induista le statue degli dèi, o la calendula, impiegata nei templi latini prima d’essere consacrata alla Vergine Maria o, ancora, la calla, nativa del Sudafrica ma arrivata poi ovunque, fin tra le comunità indigene del Messico, che la utilizzano nelle cerimonie religiose.
Fiori eletti a emblemi, come ai tempi della monarchia francese di Clodoveo avviene per gli iris, che finiscono anche sugli stemmi dei samurai, mentre, sempre in Giappone, dal XIII secolo è il crisantemo a diventare simbolo della famiglia reale. E una Fritillaria meleagris, con la sua sorprendente variegatura a scacchi, sarebbe tra gli elementi per identificare il presunto, unico ritratto realizzato in vita di un William Shakespeare che la tiene in mano sul frontespizio dell’Erbario del contemporaneo botanico inglese John Gerard.
E non si tratta qui che di alcuni soltanto dei riflessi della pervasiva presenza delle piante nella nostra vita che, in quanto alimenti, farmaci, decorazioni, coloranti, tramite simbolico e strumenti rituali, Noel Kingsbury ci racconta ne La storia dei fiori e di come ci hanno cambiato la vita in un intricato susseguirsi di alterne vicende, funzioni e proiezioni, mode e interessi (con le illustrazioni di Charlotte Day, L’ippocampo, pp. 216, € 19,90).
Analizzate per fasi storiche, la popolarità e le mode dei fiori vengono evidenziate, specialmente in giardino. Sottolineando il fondamentale discrimine dell’avvio dei grandi viaggi di esplorazione del Nuovo mondo – e relativi vegetali al seguito, dal girasole del Nord America sbarcato in Spagna con il ritorno dei conquistadores per diffondersi in breve nel resto d’Europa, all’inizio soltanto come pianta ornamentale.
Così, mentre nell’Inghilterra elisabettiana la lavanda veniva offerta a mazzetti, associata all’amore, come oggi usa fare con quelli di rose, e nel 600 il caprifoglio dal profumo dolce e il fusto contorto veniva fatto crescere attorno a un palo e non, come adesso, in forma rampicante, già nel secondo 700 la coltura del giacinto si era talmente diffusa nei Paesi Bassi (nel 1767 ne esistevano circa 590 varietà) da scalzare il predominio di tulipani, rose e narcisi e, solo allora, il sambuco, fin lì disprezzato probabilmente per l’essere associato con il mondo pagano, diventava pianta decorativa con l’affermarsi in Inghilterra dello stile del giardino paesaggistico.
La diffusione sistematica dei fiori si avrà però a partire dall’800. Con la coltura selettiva e gli incroci delle rose, le dalie introdotte in Europa dal Messico nel 1803. Poi con le camelie, assieme all’intensificarsi dei contatti tra Oriente e Occidente (di metà secolo è il romanzo di Alexandre Dumas figlio La signora delle camelie, adattato ne La traviata da Giuseppe Verdi) e, da fine 800, con le sudafricane fresie.
In parallelo con l’espansione di serre, piante in vaso e un mercato botanico di massa, anche il 900 avrà poi le sue mode e infatuazioni.
Il lupino degli anni 60 e, negli anni 90, le infiorescenze sferiche o a ombrello degli agli ornamentali.
Fino alla produzione in scala industriale – con l’orchidea falena, la Phalaenopsis, che facilmente condivide le condizioni di vita delle nostre abitazioni – di una pianta un tempo riservata a pochi ricchi e, a fine secolo, con l’affermazione di rudbeckie e echinacee, ispirandosi alle praterie nordamericane e nel quadro di una nuova attenzione ecologica anche in giardino al rispetto degli habitat e al ruolo degli impollinatori. In un corto circuito che vede oggi il ricorso a una pianta meravigliosa dalla storia antichissima e presente in tanti giardini e tradizioni religiose e filosofiche orientali come il loto, impiegata anche per filtrare le acque e ridurre l’inquinamento.
Nuove estetiche, etiche, e mode. Certo, come sempre ricordando che, anche per queste ultime, tutto è relativo. Come nel caso dell’oleandro giunto nel 500 in Inghilterra e, per il suo inedito per quelle latitudini esser sempreverde, accolto nelle dimore più benestanti, come pianta esotica per i giardini d’inverno.
Noel Kingsbury, La storia dei fiori e di come ci hanno cambiato la vita, illustrazioni di Charlotte Day, L’ippocampo, pp. 216, € 19,90, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XII, 46, Supplemento de Il Manifesto del 27 novembre 2022