Appena un mese dopo la marcia su Roma, tra i primi atti del governo Mussolini, nel novembre del 1922 viene disposta la realizzazione in tutti i comuni del territorio nazionale di parchi definiti della Rimembranza. Dove si prevede che a ogni nuovo albero piantato debba corrispondere l’identificazione tramite un’apposita targhetta di un caduto della Grande guerra.
Fortemente voluta dal sottosegretario alla Pubblica istruzione Dario Lupi, al punto di renderlo poi noto come “l’apostolo degli alberi”, si tratta di un’operazione dalla forte valenza simbolica che inserisce una variabile botanica nel più ampio processo di una politica della memoria tesa a recuperare consenso nella rielaborazione collettiva del lutto per la morte di massa del primo conflitto mondiale.
Nella costruzione di un mito unificante che si faccia elemento identitario non mancano certo luoghi deputati a mantener viva la memoria dei 600.000 caduti. Nel generale trionfo iconografico ispirato al tema della morte, iniziative autonome dedicate a singoli soldati – non più i personaggi protagonisti della stagione risorgimentale – si affiancano a obelischi, lapidi e alla spettacolarizzazione di opere scultoree in pietra e bronzo
E mentre, su scala nazionale, si assiste alla monumentalizzazione del paesaggio e dei luoghi della guerra, con i sacrari sui teatri del fronte, e il meticoloso rituale che in cinque giorni di viaggio attraverso il Paese conduce il soldato senza nome verso il memoriale del milite ignoto, i Viali e i Parchi della memoria, da realizzarsi invece nei luoghi di provenienza di quei soldati che lì hanno parenti e amici – e che saranno poi affidati alla custodia perlopiù delle locali scolaresche –, rendono merito in modo egualitario al perdurare dell’identità dei singoli.
Come bene evidenzia l’avvolgente ricerca di Vincenzo Cazzato intitolata Natura aere perennius. Parchi della Rimembranza e luoghi della memoria, questo avviene nel segno dell’associazione uomo-albero, di una metamorfosi di ogni caduto in un corpo vegetale che – sentimentalmente, ma anche fuor di metafora – a ogni stagione riprende vita in primavera nei luoghi che lo hanno visto crescere e per la cura di chi dal loro esempio rileva la staffetta delle generazioni (per l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione – Associazione Parchi e Giardini d’Italia, Montanari, pp. 456, € 30). Una retorica che restituisce dimensione nazionale al lutto individuale e, oltre i simboli minerali, cippi e croci, recupera il vitalismo della natura.
L’aspirazione di Lupi è che da questo nuovo rito patriottico derivi anche un maggior rispetto per le piante e il risveglio di una “coscienza forestale” [del 1923 è la nuova legge in materia] che, come dice, è ben sopita in un popolo che ignora e disprezza gli alberi mentre dopo le vicende belliche occorrerebbe favorire i rimboschimenti – anche contro la recrudescenza delle febbri malariche – e rilanciare l’agricoltura. L’operazione si innesta su un terreno in certo modo già da tempo predisposto da un’altra iniziativa: la Festa degli alberi, istituita nel 1899 su impulso dell’allora ministro della Pubblica istruzione Guido Baccelli nel solco di analoghe esperienze del precedente ventennio che in Nord America traducevano il diffondersi di un sentimento nuovo di rispetto per la natura.
Resa poi celebrazione annuale obbligatoria in tutti i comuni di Italia con l’inizio del 900 – dal 1911, con l’individuazione di una data comune per tutti: l’11 novembre, genetliaco di Vittorio Emanuele II, – la Festa degli alberi prevedeva che li si piantasse sui margini delle pubbliche vie, intorno alle piazze dei mercati, su terreni comunali o proprietà private, coinvolgendo il futuro corpo forestale e soprattutto le scuole, in funzione educatrice.
Con la creazione dei viali e parchi della memoria e la dedica di un albero a ogni singolo caduto, pur nella diversa natura dei due messaggi avviene la saldatura della Festa degli alberi con i Parchi della rimembranza, tanto che negli spazi urbani le due realtà spesso si incontrano e sovrappongono.
Per altro verso i parchi della memoria evidentemente non si pongono come un duplicato della sepoltura. Il loro linguaggio esalta la vita, il reintegrarsi in una matrice universale. Rispetto a cippi, obelischi, croci, lapidi, l’obiettivo è qui glorificare un nome e il linguaggio dei parchi ne esalta la vita che perdura per il tramite dei portavoce vegetali.
Così, nelle dichiarazioni programmatiche del regime e nei tanti discorsi di inaugurazione dei vari Parchi della rimembranza su e giù per la penisola raccolti nel volume – con relative citazioni da Ovidio, Dante, Ariosto, Tasso –, è costante il richiamo sin dall’antichità al tema della metamorfosi dell’uomo in albero, dall’alloro di Dafne a Ciparisso, da Mirra alle Eliadi del pioppo.
Mentre, reso tramite nella relazione guerra-resurrezione – fondativa per il fascismo –, l’albero della rimembranza, simbolo della vittoria sulla morte, finirà per ospitare oltre i nomi dei martiri per la vittoria della prima guerra mondiale, quelli dei fascisti della prima ora. E, ancora, sempre sulla scia dei parchi della rimembranza, altri episodi di appropriazione strumentale dell’antico simbolismo degli alberi si avranno poi con l’istituzione dei Boschi del littorio (1927 con circolare a tutti i prefetti che affida localmente un ettaro all’Opera nazionale balilla) o di quelli dell’Impero, costituiti per celebrare la presenza coloniale nell’Africa Orientale con la guerra di Etiopia 1937.
Trasversale si conferma la presenza degli alberi, oltreché nel diffondersi di metafore e metamorfosi vegetali, nel loro farsi compagni e protagonisti già in guerra. Associati agli uomini al fronte, si ritrovano nella pittura e nella poesia come testimoni violentati e resistenti di un paesaggio di desolazione, monconi frantumati, tra il filo spinato dei reticolati, tronchi rinsecchiti, emblematici. Ma, pure, raddoppiati nella familiarità dei loro nomi che i soldati danno, per distinguerle, alle trincee o come simulacro, alberi artificiali, protezioni utili a nascondere postazioni di tiro realizzate in forma, appunto, di finto albero da appositi reparti di soldati giardinieri, maestri del mascheramento.
Nel volume, ricco di oltre 500 immagini documentarie, Cazzato si appoggia a circolari, leggi, discorsi inaugurali, note ministeriali, lezioni, nonché su di un ricchissimo corredo di cartoline d’epoca – che ben dimostrano la rilevanza identitaria del fenomeno nell’auto raffigurazione dei piccoli centri – e sui riscontri della stampa, perlopiù, com’è ovvio, plaudente – fatto salvo l’Osservatore romano pronto a denunciare la “paganizzazione idolatra” del culto degli alberi che sostituirebbero la croce.
Rilevante la restituzione documentaria e narrativa di quel momento topico che sono i rituali delle cerimonie inaugurali dei Parchi della rimembranza: studiate nei dettagli, con schizzi planimetrici a indicare gli spazi assegnati ai vari partecipanti, la presenza delle personalità, la sincronizzazione di inaugurazioni multiple (a Firenze il 26 febbraio 1923 si inaugura un gran numero di parchi e viali rionali), con banda musicale, messe da campo, benedizione e la retorica dei sermoni in serrata commistione tra codici civili e religiosi.
Significativo è poi il ruolo dei parchi nel ridisegno degli spazi urbani, fin dalle indicazioni per la scelta dei luoghi, né lontani, né scarsamente frequentati, per i piccoli comuni spesso in prossimità del cimitero o di edifici scolastici; nei centri maggiori, occasione di razionalizzazione, come viali di raccordo tra elementi urbani o in coincidenza con la villa comunale (specialmente nel Mezzogiorno). Luoghi panoramici, belvederi, sul limitare murato delle città o in relazione con la presenza di resti archeologici; in convivenza con statue di santi, personaggi illustri, glorie cittadine (a Pistoia il legame è tra eroi della guerra e Puccini); con luoghi già contrassegnati da un qualche peso memoriale (il parco di Villa Glori, a Roma, progettato da Raffaele de Vico e inaugurato nel 1924 sul colle dello scontro, nel 1867, tra truppe pontificie e garibaldini). Fino a casi di valorizzazione in chiave turistica di Parchi come quello di Torino, con la pubblicazione di una Guida dei suoi alberi commemorativi, di pari passo con la rivalutazione di quella zona collinare.
Indicative della cultura botanica del tempo sono le raccomandazioni diffuse con apposite circolari tecniche a proposito di scelta degli alberi, con specie arboree diversificate per clima, altitudine, ma intese a restituire un aspetto uniforme (e quindi la stessa specie e età) e caratteristico dei luoghi (in ogni caso, con la preferenza per cipressi, lecci, pini); tecniche e accortezze nei trattamenti pre trapianto, piantagione, annaffiamento; individuazione del momento migliore per l’impianto – spesso sacrificato al dettato poco stagionale di esigenze tutte politiche; modalità della messa a dimora (buche, tutori, distanze); cure successive.
E qui, rivelatore è il coinvolgimento, sia in fase di organizzazione e inaugurazione dei parchi che poi di manutenzione, di associazioni, circoli, amministrazioni locali, cooperative, comunità di emigranti, associazioni combattenti – oltre alle famiglie dei caduti e agli orfani di guerra –, comitati di raccolta fondi attraverso lotterie, tombole, fiere di beneficenza, spettacoli teatrali, conferenze a pagamento e poi, soprattutto, circoli scolastici, scuole, insegnanti, studenti.
Sempre nel senso dell’auspicato passaggio di consegna tra generazioni e all’interno di quel processo di indottrinamento politico della società che ha nella scuola un suo snodo fondamentale. Fino a fare dell’edificio scolastico un teatro della memoria, un sacrario, con la dedica dell’aula a un eroe della patria e della rivoluzione fascista, con l’introduzione del crocifisso, l’obbligo del saluto alla bandiera e la promozione, oltreché di più convenienti gite campestri, del pellegrinaggio scolastico alla tomba del milite ignoto.
E, sempre in relazione ai Parchi della Rimembranza si inserisce in questo programma l’istituzione di una Guardia d’onore (1923) che, associando le due ricorrenze, con la Festa degli alberi è dedicata alla custodia di parchi e monumenti ai caduti.
Non sarà un caso se, nell’ambito del diffondersi di una sensibilità alla tutela del paesaggio che si avverte minacciato dai rischi derivanti dallo sviluppo dell’industrializzazione, l’universo della scuola, tra stampa e associazioni, sarà ancora una volta coinvolto nell’azione di tutela delle bellezze naturali che dal 1921 prevede vengano segnalate tramite una scheda, propedeutica alla stesura di un vero censimento, quelle da salvaguardare. Per quanto, ancora, tutto ciò secondo una valenza prevalentemente estetica, come di un quadro, un panorama.
Caratterizzati in genere da un disegno semplice, aspetto severo, spesso monotoni, i Parchi della rimembranza propongono nei differenti contesti ambientali perlopiù piccole variazioni sul tema, tra impianto formale, all’inglese, o misto; con eccezioni come nel caso della tipologia di piazza-viale di Lambrate, o disegnati a forma di emiciclo (Grottaferrata), quinta vegetale rispetto a emergenze orografiche o scultoree (Mondolfo), esedre con viali a raggera (Gorizia), o vere e proprie allegorie di trincee, come per il Parco di Vignale Monferrato che riproduce il disegno di camminamenti, gallerie, fortilizi.
Dopo l’indubbio successo che l’iniziativa dei Viali e parchi della Rimembranza riscuote, specialmente al Settentrione, nei suoi primi anni (nel febbraio 1924 se ne contano oltre 2200), e anche se nel 1926 essi vengono dichiarati pubblici monumenti, presto perdono di attrattiva.
Tra danneggiamenti, carenza di fondi e vandalismi, talvolta di segno politico in quanto identificati come strumento del regime, molti parchi della Rimembranza scivolano nel degrado, sopravvivendo a fatica. Ancor più con la seconda guerra mondiale e la caduta del fascismo. E per quanto poco si possa dire che abbiano contribuito alla crescita di una sensibilità civica nel favorire cura e manutenzione degli spazi verdi pure come testimonia quest’indagine condotta in occasione del centenario della loro istituzione, continuano a costituire, tra molti esiti diversi, un patrimonio che va comunque conosciuto e tutelato.
Vincenzo Cazzato, Natura aere perennius. Parchi della Rimembranza e luoghi della memoria, per l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione – Associazione Parchi e Giardini d’Italia, Montanari, pp. 456, € 30 recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XIII, 6, Supplemento de Il Manifesto del 12 febbraio 2023