Partendo dal presupposto che una consonanza stretta risuoni tra creazione dei giardini e esercizio del pensiero, quella che l’antropologo e filosofo spagnolo, nonché giardiniere, Santiago Beruete ci propone nelle quasi 500 pagine del suo Giardinosofia è di fatto un’originale, godibile assai, interdisciplinare scorrazzata tra gli snodi della cultura (occidentale), sub specie giardiniera (Ponte alle Grazie, pp. 478, € 22, traduzione Elisa Tramontin).
Con sottotitolo programmatico Una storia filosofica dei giardini (da preferirsi al plurale, come nell’edizione originale), si evidenzia come i giardini risultano spesso nella storia del pensiero tramite privilegiato di diffusione e amplificazione di idee e mondi.
Opportunità e oggetto di riflessione filosofica, in una dimensione però praticata, abitata, vissuta. Per la loro capacità di dar forma sensibile alle proiezioni delle metafisiche proprie di ogni epoca. E prima ancora, nel loro modellarsi come sintetica trasposizione del nostro rapporto con la natura, nell’artificio che riconfigurando lo spazio tempo aspira a conciliare ideale e reale. E, ulteriormente, tenendo saldo lungo tutto il libro il nesso con le narrative dell’utopia, per la promessa di futuro, di un mondo del ben vivere che le poetiche del giardino sempre comportano, criticamente rilevando aspirazioni o denunciando mancanze.
Se quindi “ogni giardino esprime una teoria estetica della bellezza e una visione etica della felicità”, coltivando una serie di virtù specifiche e ristabilendo connessioni con il vivente con il quale ci misura, il suo esser pur sempre un atto di creazione intellettuale finisce, nel porsi alla ricerca del bene comune, per assumere variamente una dimensione anche politica.
E quindi, se la fiducia nella ragione alla conquista dell’infinito si rivela nel formalismo geometrico cartesiano dei razionalisti giardinieri del barocco francese, l’insistito ricorso ai giochi ottici rimarca per converso la fallibilità dei sensi, mentre la ben congegnata irregolarità per imitazione della natura del giardino paesaggistico riguarda libertà di pensiero e costituzionalismo inglese, come pure il paradosso di una romantica sensibilità paesaggistica, compensatoria per sublimazione a fronte dell’incalzante, distruttivo assoggettamento imprenditoriale di risorse e paesaggio.
Fino al costituirsi del giardino come chiave potenziale di trasformazione, con il 900 delle utopie urbanistiche, dal riformismo sociale delle città giardino all’alleanza tra architettura del paesaggio e progettazione ambientale, all’insubordinato odierno diffondersi molecolare di spazi condivisi sottratti alla frenesia delle logiche di efficienza e produttività.
Procedendo per digressioni, su tematiche condivise tra giardini, poetiche, speculazioni intellettuali – dalle rovine agli eremi, dall’utopia al labirinto, al pensare passeggiando –, Beruete tratteggia le coordinate di questi organismi simbiotici, spazi coevoluti di creazione condivisa e dialogo. Utopie che si fanno realtà, eutopie intese alla cura del bello e del buono. Giardini, insomma, come terapia filosofica.
Santiago Beruete, Giardinosofia. Una storia filosofica dei giardini, Ponte alle Grazie, pp. 478, € 22, traduzione Elisa Tramontin, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XI, 11, Supplemento de Il Manifesto del 24 marzo 2019