Russel Page. Il fluido Dopoguerra di un paesaggista

Scritto nel pieno del suo fervore creativo di ideatore di giardini, a cinquantasei anni, mentre trascorre frequenti notti in treno (raccontate con humor) o spostandosi in aereo per seguire i suoi diversi cantieri, dove continuamente si misura con disparati scenari, problematiche e soluzioni, L’Educazione di un giardiniere di Russell Page appare nel 1962. E testimonia di un cambio di scena. Con il diffondersi, nel dopoguerra, di un nuovo tipo di società e di giardinaggio. Dai progetti di parchi e tenute e dalla collaborazione con Geoffrey Jellicoe si passa a interventi per una committenza nuova o con differenti esigenze. Se grandi proprietà vengono ridisegnate e talvolta aperte al pubblico per fronteggiare aumento dei costi di manutenzione e carenza di mano d’opera, le vacanze stagionali estive si sostituiscono sulla costa della Francia meridionale alla villeggiatura invernale inglese di prima della guerra, imponendo per i nuovi giardini un “esercizio di prolungamento” della primavera. Si afferma poi la richiesta di spazi verdi privati di città: terrazze lastricate attigue alle case “dove mobili, tendoni, sculture fontane piante nei vasi concorrevano a formare una sorta di salotto all’aria aperta”. Giardini di dimensioni ridotte e a basso costo di manutenzione. E in tal senso, proprio mentre nuove tecniche e materiali consentono e orientano verso un più fluido modello di architettura di giardini, testimonia ora la collaborazione con André de Vilmorin, titolare di un’importante impresa di orticoltura convinto che dopo l’esperienza della coltivazione degli orti di guerra fossero maturi i tempi per promuovere un’idea di giardino diffuso da gestirsi individualmente “anche senza disporre di un giardiniere professionista”.

Al contempo, questa sorta di autobiografia intellettuale e professionale ripercorre il farsi di un proprio modo originale da parte di uno dei maggiori protagonisti della paesaggistica del novecento. E il prodursi, com’egli dice, di “un’autonoma coscienza artistica” si va delineando nel racconto di un’educazione continua: dello sguardo (che traduce in misure le sensazioni), dello studio dei modelli (capace di riconoscere la genealogia dei debiti come pure di liberarsi delle reliquie degli stili e dei loro travestimenti), del piacere come della disciplina delle emozioni, temperate nella consapevolezza “professionale” e nella ricerca continua del metodo. L’irriducibile soggettività dell’esperienza, per un autodidatta come per molti versi era Russell Page, si traduce comunque nel piacere di descrizioni che invitano a condividere il suo percorso. Quello formativo e assieme quello che lega i paesaggi, i panorami, i luoghi dei giardini pensati, coltivati, realizzati. Dalla Gran Bretagna, alla Svizzera e alla Francia Meridionale del dopoguerra, all’Italia del nord delle sue prime esperienze nella penisola. E ancora di molti altri tornanti e paesaggi sarebbe poi stato testimone con il suo lavoro da questo 1962 fino alla morte nel gennaio 1985, ma già poco o nulla si ritrova dei venti successivi anni di feconde attività – per le quali è maggiormente conosciuto in Italia, dalla Landriana a San Liberato, alla Mortella – nella sua prefazione alla nuova edizione del 1983. L’edizione italiana di Allemandi, apparsa nel 1994 ed esaurita, è ora finalmente ristampata (pp. 366, Є 45), seppur con la stessa fin troppo elegante traduzione che spesso non rende merito all’immediatezza quasi dialogizzante di Page, scivolando in una normatività impersonale traverso la quale sfugge il rilievo della funzione descrittiva minuta di luoghi, meccanismi e azioni così fondamentale in questo libro.

Racconto di un percorso che si nutre ogni volta del piacere di illustrare il contesto, le considerazioni percorse, le soluzioni esplorate, quelle scartate e, finalmente, “viste”, nella lettura raffinata dei luoghi alla ricerca dei significati dai quali dedurre il tema del giardino: “quell’idea di fondo che determinerà il ritmo dell’intera composizione, inclusi i dettagli minori”. “Partiamo adesso … per un tour immaginario del giardino … in un mattino di aprile. Dalla villa si sale … ”. Perché appunto ogni racconto è occasione per illustrare in azione le linee di una grammatica compositiva che aspira a creare un senso di unità nel ritmo di pieni e vuoti, un’atmosfera dove fecondamente consistano tensioni e interrelazioni spaziali tra i diversi elementi di un giardino e vivano composti gli elementi di base “della luce e dell’ombra, della pietra e dell’acqua del fogliame e dei fiori”. Ecco allora il resoconto di un “esercizio di monocromia”, quando prima di pensare a visualizzare il giardino in termini di colore necessita concentrarsi sulla forma e lavorare sui toni, per solo poi associare i colori verificandone, lontano da ogni ricettario precostituito, la consistenza sotto diverse luci, i modi in cui ogni specie vegetale le riflette o assorbe. Oppure ecco la testimonianza della scelta di risolvere un giardino dalla vista “imponente”, utilizzando i tronchi di tre pini ad ombrello per ripartire il panorama in scene separate; o ancora l’illustrazione della scelta di affrontare il caso della voliera del XVI secolo progettata dal Sanmicheli per Villa Musella vicino Verona, facendola diventare tema centrale del giardino: costruendole accanto una vasca regolare molto ampia che nel riflesso ne duplichi l’effetto. Tutto si tiene, fino al racconto del lavoro forsennato per l’allestimento di mostre temporanee come il festival garden a Battersea Park, che disegna e realizza a Londra a inizio anni Cinquanta dovendo tener contro dello “sfondo delle mastodontiche ciminiere della centrale elettrica di Battersea” – futura Tate Modern  –  che appaiono in lontananza”. O a quello dai tratti ironici della visita a Le Corbusier comprensiva di salita sul tetto ad ammirare il giardino dove questi, gli diceva, si era accontentato di spargere terra lasciando agli uccelli e al vento di occuparsene. E, in chiusura, al tentativo di descrivere, nell’ultimo capitolo del libro, un suo giardino inesistente, caleidoscopio insieme di mille giardini ricombinati, miraggio e al tempo stesso, “come tutti i giardini, mondo in sé compiuto”.

Russell Page, L’Educazione di un giardiniere, Allemandi, pp. 366, є 45, recensito da Andrea Di Salvo su Alias 37 – Supplemento de Il Manifesto del 24 settembre 2011