Puntata ulteriore di un progressivo scandaglio della multiforme personalità intellettuale e della feconda vicenda artistica di uno dei maggiori innovatori del paesaggismo del 900, il brasiliano Burle Marx, il volume a cura di Barbara Boifava e Matteo D’Ambros, Roberto Burle Marx. Verso un moderno paesaggio tropicale, si impernia, fin dal sottotitolo, sul rivoluzionario assunto che pone al centro del suo progetto di paesaggio la dimensione estetica della natura (edizioni IUAV, Il Poligrafo, pp. 256, € 23.00, con un saggio iconografico di Leonardo Finotti). Ebreo, figlio di immigrati europei, poliglotta, pittore di formazione ma animato da una curiosità che va oltre le discipline, Burle Marx partecipa del fermento di un Brasile postcoloniale che cerca una propria identità anche attraverso il Modernismo di là dai modelli europei, recuperando, tra mille contrasti, tradizioni compresenti, metabolizzando le suggestioni che provengono dalle avanguardie artistiche d’oltreoceano. Seppure fin da subito la forma libera e il segno grafico astratto si individuano come tratti caratterizzanti della proposta di Burle Marx di una nuova estetica del paesaggio, essi tradiscono invece come la rilevanza della costruzione formale sia funzionale piuttosto a incorporare nel progetto la bellezza della natura. Quella natura tropicale che diviene grande protagonista, fonte di ispirazione e lessico di un nuovo stile contemporaneo, trasposta in giardino in un’operazione al tempo etica e estetica. La natura dei paesaggi del Brasile, da assumere come elemento identitario, perfino patriottico, del paese, con la sua straordinaria, allora misconosciuta ricchezza di flora autoctona – che Marx esplora, scopre, colleziona nel suo laboratorio del Sìtio, sorta di santuario botanico, centro di studio e sperimentazione non lontano da Rio, per variamente reintrodurla in giardino. Una natura che, divenendo giardino, oltre la dimensione artistica, pedagogicamente riattiva una familiarità perduta con l’ambiente, percepito ostile. Modello di coesistenza e rispetto di diversità, nel suo dispiegarsi in termini transgenerazionali e proprio in quanto sistema di relazioni in costante, mutua dialettica. Dunque forma, in quanto risultante di un equilibrio in tensione.
Valorizzando l’intensità figurativa e l’eloquenza della vegetazione, Burle Marx procede in una pratica integrata di artista e scienziato – la sua conoscenza del mondo botanico gli vale l’intestazione di 38 nuove piante scoperte. Linee curve, forme organiche, alternanze e corrispondenze cromatiche, sviluppi verticali e tappezzanti, percezione del limite e assenza di elementi gerarchicamente ordinatori, risonanze di elementi come luce, acqua, rinviano a una consapevolezza ecologica (che si farà poi anche battaglia civile contro la deforestazione) che promuove l’uso estetico delle modalità associative spontanee di piante autoctone, sperimentando, trasponendo e ricostruendo combinazioni e ambienti; e definendo scherzosamente “associazioni ecologiche artificiali” quelle composizioni artistiche che andava pionieristicamente sperimentando nei suoi giardini tra piante autoctone e altre esotiche, provenienti da ecosistemi compatibili. E tutto ciò, misurandosi in una molteplicità di scala che dal dettaglio dei tetti-giardino alla percezione approssimata dalle auto in corsa delle parkways, alle piazze pubbliche, ai parchi espositivi, privilegia lo spazio urbano intessendolo in un complessivo progetto di paesaggio.
Roberto Burle Marx. Verso un moderno paesaggio tropicale, a cura di Barbara Boifava e Matteo D’Ambros, edizioni IUAV, Il Poligrafo, pp. 256, € 23.00, con un saggio iconografico di Leonardo Finotti, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica IV, 23, Supplemento de Il Manifesto dell’8 giugno 2014