Superato lo sconforto indotto dall’addensarsi delle numerose aree di colore verde chiaro sulla Planimetria generale delle ville e giardini di Roma, a indicare quelli scomparsi, la consapevolezza sinottica della ricchezza del sommarsi di queste presenze testimoniali con quelle dei giardini e parchi ancora esistenti (le aree in verde scuro) ci accompagna nella ammirata ricognizione della vicenda di molti fili e episodi oggi raccolti in questo nuovo Atlante storico delle ville e dei giardini di Roma (Jaca Book, pp. 320, € 98,00). Coordinato da Alberta Campitelli e Alessandro Cremona, rispettivamente, direttrice e curatore dell’Ufficio ville e parchi storici del comune di Roma, il volume è una ricognizione che considerando anche i più recenti specialistici studi dispersi e integrando in una visione ampia, dal medioevo al 900 fascista, le fasi in genere meno indagate, dispone nella diacronia e per tipologie quel vario patrimonio di realizzazioni, modelli, esperienze artistico letterarie e botanico naturalistiche. Certo, viste nelle loro singolari tipicità, ma, sul filo di un’evidente sempre costitutiva connessione identitaria con lo specifico cittadino, pure e proprio in quanto esito di stratificazioni, debiti, scarti e sovrapposizioni in sviluppo di continuità. Ricognizione in soggettiva, che sulla base delle descrizioni e delle fonti che ispirano e rispecchiano la vicenda delle ville e dei giardini di Roma ripropone e integra un ricco corredo documentario di schizzi, progetti, raffigurazioni (con special senso nel render testimonianza di quanto è andato perduto), dalle pitture alla poesia, dagli inventari ai carmi encomiastici. Ricognizione anche dall’alto: bella la prospettiva aerea proposta dalle molte foto appositamente realizzate a volo d’uccello, anche su complessi normalmente non visitabili. Molto utile, assieme alla Planimetria di corredo al volume, un Regesto delle ville e giardini di Roma che le raccorda, oltre che per committenza degli interventi nel susseguirsi nei secoli, per tipologie: Giardini pontifici, Giardini e orti di conventi e chiese, Barchi di caccia, Giardini di palazzo, Ville e giardini privati, Giardini pubblici (manca però, vista la ricchezza dei materiali e dei rimandi, un vero indice analitico in questo caso non pleonastico). Ecco allora, per citare soltanto alcune delle filiazioni ripercorse nel volgere dei capitoli, alcuni dei temi salienti. Il risalire alla tradizione dell’orto monastico per rintracciare nelle residenze poi destinate ai cardinali titolari su monasteri e abbazie il modello per un giardino segreto che sarà in seguito delle ville aristocratiche del Rinascimento: associato a un Casino destinato al riposo e alla meditazione e caratterizzato dall’apertura della loggia (quello del cardinal Bessarione). O la declinazione del barco di caccia in villa suburbana, teatro di feste e partite venatorie. Il rilievo delle valenze letterarie che del giardino fanno luogo di incontro intellettuale, come sarà per la vigna sul Quirinale di Pomponio Leto. Gli intrecci di giardino e cultura antiquaria nel solco della riscoperta umanistica di quelle vestigia che a lungo saranno parte caratterizzante del giardino romano, in ciò segnato da una sua specifica dimensione pubblica, come sottolineato dalla lex hortorum, dell’ospitalità per le aperture ai visitatori. Il repertorio di stilemi e tipologie censite dall’Hypnerotomachia Poliphili. La vocazione teatrale del giardino già nel sistema dei cortili di Villa Giulia come poi nei teatri di verzura, fino a quello settecentesco del Palazzo Corsini alla Lungara, o quella museale, paradigmatica nel Cortile del Belvedere con i loggiati della sua scenografica scansione in tre terrazze e in seguito il Cortile delle statue ospite del ritrovato Laocoonte. Il capitolo del rapporto diretto con le preesistenze dei Giardini d’antichità come quello pensile del Soderini sul Mausoleo di Augusto del quale si sfrutta l’andamento circolare, o come la vigna del cardinale Pio da Carpi sulle pendici del Quirinale dove una galleria di verzura articolata in nicchie, sul filo del contrasto della bicromia verde-bianco, funge da sfondo espositivo per le sculture. Ancora, il procedere in stretta connessione di antichità e natura, cultura antiquaria e botanica, nelle forme più monumentali dei Giardini vaticani sul Quirinale o, come “due facce della stessa medaglia”, nell’integrazione con le collezioni botaniche negli Orti farnesiani sul Palatino o a Villa Medici sul Pincio. Fino al barocco teatro dei fiori di Villa Borghese, che inscena le essenze più pregiate, all’integrazione architettura-natura, alla “qualità panoramica degli affacci” della settecentesca Villa Albani (pur sempre contenitore di antichità per il cardinale di cui Winkelmann è bibliotecario), e poi all’immersione nel paesaggio che anticipa il nuovo stile “all’inglese”, a lungo ignorato in una Roma sostanzialmente conservativa, vincolata ai suoi modelli del passato. E così via. Per giungere alla nascita dei pubblici passeggi, del verde delle piazze giardino di una Roma capitale e poi del governatorato fascista che, tra sviluppo di interi quartieri fuori piano, sventramenti e proliferazione di borgate, lottizzazione delle ville storiche (per tutte, Villa Ludovisi), ma anche loro acquisizioni (Villa Borghese nel 1091 su pressione dell’opinione pubblica), impianto di nuovi giardini promossi nel ventennio come “fondale delle opere del regime”, procede, persevera nello scrivere quel capitolo sulla Distruzione del verde storico che dal sostanziale disconoscimento dei primi piani regolatori ancora dura con poche eccezioni. Con l’auspicio del precisarsi di una troppo recente e fragile presa di consapevolezza all’inverso.
Atlante storico delle ville e dei giardini di Roma, a cura di Alberta Campitelli e Alessandro Cremona, Jaca Book, pp. 320, € 98,00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica III, 4, Supplemento de Il Manifesto del 27 gennaio 2013